giovedì 26 febbraio 2015
domenica 15 febbraio 2015
Perdono e riconciliazione, Matteo18,21-35
"Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse:"Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?Fino a sette volte?" e Gesù gli rispose:"Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo:"Abbi pazienza .con me e ti restituirò ogni cosa". Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli. condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava dicendo:"Restituisci quello che devi". Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo:"Abbi pazienza con me e ti restituirò". Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse:"Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perchè tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?" Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello".
PAROLE CHIAVE - PERDONO
In tanta armoniosa composizione, che abbiamo potuto apprezzare per la sua efficacia, l'incisività è data anche da una parola chiave presente nel testo che non si può mancare di identificare con la parola "perdono" . Quindi la parabola è fondata anche proprio filologicamente sul perdono, giacché tale parola appare quattro volte: "Quante volte dovrò perdonargli al mio fratello"; poi appare "Non ti dico di perdonare fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette"; poi "..il padrone gli condonò il debito"; e "Io ti ho condonato tutto quel debito" Nelle ultime due citazioni la parola italiana è un pò diversa, ma in greco invece il termine è il medesimo e del resto si può agevolmente notare come in italiano le due diverse traduzioni abbiano comunque in comune la radice, che è quella di "dono".
"Perdono"è dunque la parola numericamente sostanziale di tutto il racconto, che ce ne dà così anche matematicamente il senso, ed è accompagnata da altre due parole che fanno da spalla, per così dire. Una è usata per descrivere l'atteggiamento del re, dove dice:"il padrone ebbe compassione di quel servo", dunque si commosse e se ne impietosì; si tratta della stessa espressione utilizzata nella parabola del buon samaritano, che vedendo il ferito sulla strada "si commosse". Una parola analoga ricorre due volte quando il re dice al servo malvagio:"Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?". Il verbo greco è quello da cui deriva l'espressione liturgica "aver pietà","aver misericordia". Dunque parole chiave sono "perdono", "misericordia", "compassione", tutte appartenenti a un unico campo semantico. Questa è una pagina che esalta il perdono divino e il perdono umano e li mette in stretto collegamento. Sta forse qui il capolavoro di questo passo: non si tratta di una banale esortazione al perdono, una semplice parenesi, ma è un'esortazione che si radica nel mistero di Dio, nella Sua misericordia, nel mistero trinitario stesso che è tutto amore, grazia, misericordia e perdono.
..tratto dal libro "Cercate Gesù"di Carlo Maria Martini che insieme
a Giovanni Montini sono miei maestri in fede.
giovedì 5 febbraio 2015
E' VERA LA MIA VITA?
A volte ho la sensazione che la mia vita non sia "reale". Eppure io vivo, eccome. Vivo intensamente, provo gioia e dolore, amore e risentimento, soddisfazione e depressione, cioè tutta la gamma dei sentimenti e delle sensazioni che rendono "viva" la vita. E allora? Forse mi sono creato un mondo che è diverso da quello reale? Come nel sogno vivo delle esperienze che sembrano vere, ma non lo sono, vedo gente, luoghi e cose che nella realtà non esistono, così anche nel mio stato di veglia, in genere mi comporto come se sognassi. Perché? Perché la mia mente, per ragioni sue personali, anzi- per sua natura- tende a interpretare e, di conseguenza, a giudicare. E da qui nascono i problemi. Se, ad esempio, vedo una splendida rosa, in genere cosa faccio? Penso: "Com'è bella, questa rosa. Però non è completamente sbocciata. Domani sarà perfetta. Il suo colore è rosa, con una sfumatura di giallo- o forse di arancione? La rosa che che vidi l'altro gorno, però era più bella. I petali erano più grandi. Che buon profumo. Però quante spine..." Questa è l'esperienza irreale che ho creato. L'esperienza "reale" sarebbe: guardare la rosa e gioire della sua bellezza, del suo profumo, cercare di identificarsi con essa, con-partecipare il nostro essere creature di Dio. Senza pensare, senza analizzare, senza fare paragoni, perché così facendo l'essenza vera e più profonda dell'esperienza va completamente perduta. Purtroppo, però, questo è ciò che facciamo sempre. Siamo stati educati a farlo, questo è l'esempio che ci è stato fornito e non riusciamo a fare altrimenti. La mente, pur di pensare qualcosa, ci porta a volte a crearci veri "mostri" nella fantasia, assurde paure, dei serpenti velenosi che risultano, poi degli innocui pezzi di corda. Non so se, nonostante la buona volontà, riusciremo mai a liberarci da questo "abito" di pensare "sempre". E'diventato ormai una seconda natura ma, se lo vorremo veramente, potremo iniziare almeno a guardare le cose con occhi nuovi, a vedere gli altri come veramente sono e non come noi lo giudichiamo.
...tratto da Il Pensiero Positivo di A.De Mello
domenica 1 febbraio 2015
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